Il 6 aprile 2019 (128esimo sol ) alle 9:35 locali, il sismografo SEIS (a bordo del lander Insight) ha ‘sentito’ il primo terremoto marziano. Erano passati 62 sol (giorni marziani) dal 2 febbraio quando si conclusero le complesse operazioni di posizionamento del SEIS. L’evento del 6 aprile 2019 è stato nettamente percepito dai sei sensori del SEIS, sia i tre ultrasensibili del VBB (Very Broad Band) che copre le frequenze 0,01-10 Hertz (quindi potrebbe sentire le maree indotte dai satelliti marziani!), sia i tre meno sensibili dell’SP (Short Period) che copre le frequenze 0,1-50 Hertz. Si è trattato di un tremore della crosta molto debole (magnitudine Richter stimata di 2-2,5) che sulla Terra sarebbe stata percepita solo strumentalmente e non direttamente dalle persone. Proprio per questa sua debolezza le onde sismiche al seguito sono poco penetranti, quindi non utilizzabili per scrutare il profondo sottosuolo marziano. Va aggiunto che il SEIS ha dimostrato subito di funzionare molto bene, dal momento che sente normalmente le vibrazioni indotte dai venti e ha sentito molto bene le vibrazioni provocate dal movimento del braccio robotico durante il dispiegamento (12 febbraio 2019 -sol 76) del sensore termico HP3 (Heat Flow and Physical Properties Probe) che, purtroppo, si è bloccato quasi subito a 30 centimetri di profondità (doveva penetrare di 5 metri…) e da allora non si è più riusciti a smuovere. Alla NASA sono verosimilmente certi che l’evento del 6 aprile 2019 sia un terremoto per la sua lunga durata, molto simile alle centinaia di terremoti lunari rilevati dalle stazioni sismiche delle missioni Apollo. Per contro le vibrazioni del vento o del braccio robotico sono velocissime a spegnersi. E dal momento che Marte non ha tracce visibili di movimenti crostali (causa primaria dei terremoti terrestri) si pensa che la genesi dei terremoti marziani sia simile alla genesi dei terremoti lunari: stress prodotto nel mantello dalla contrazione della massa in conseguenza del lento raffreddamento residuo.